Cassazione: “Borsellino, delitto di mafia con zone d’ombra”

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“La strage di via d’Amelio rappresenta indubbiamente un tragico delitto di mafia, dovuto a una ben precisa strategia del terrore adottata da Cosa Nostra, in quanto stretta dalla paura e da fondati timori per la sua sopravvivenza a causa della risposta giudiziaria data dallo Stato attraverso il ‘maxiprocesso’, potendo le emergenze probatorie relative a quelle ‘zone d’ombra’ – in parte già acquisite in altri processi, in parte disvelate dal presente processo – indurre, al più, a ‘ritenere che possano esservi stati anche altri soggetti, o gruppi di potere, interessati alla eliminazione del magistrato e degli uomini della sua scorta’”. E’ quanto scrivono i giudici della Quinta sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della sentenza del processo ‘Borsellino quater’ che lo scorso 5 ottobre ha confermato le condanne all’ergastolo per i boss palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, condannando per calunnia i falsi collaboratori di giustizia Calogero Pulci e Francesco Andriotta (per quest’ultimo con un lieve sconto di pena di 4 mesi) confermando la sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta nel novembre 2019.

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“L’uccisione del giudice Paolo Borsellino, ‘inserita nell’ambito di una più articolata strategia stragista’ unitaria’, risponde a più finalità di Cosa Nostra – spiegano gli ‘ermellini’ – Viene così in rilievo una finalità prima di tutto di vendetta, che chiama in causa la vita professionale del magistrato, dalle iniziative adottate insieme con il capitano Emanuele Basile e dopo il suo omicidio fino al ruolo centrale rivestito maxiprocesso; in secondo luogo una finalità preventiva perseguita da Cosa Nostra in relazione ‘alla possibilità che il giudice Borsellino divenisse capo della Procura antimafia, ricevendo il testimone del giudice Falcone nella lotta al crimine organizzato’. La Corte di assise di appello di Caltanissetta richiama la ‘finalità di destabilizzazione’ volta a ‘esercitare una pressione sulla compagine politica e governativa’ e ‘a mettere in ginocchio lo Stato’, di cui hanno riferito i collaboratori di giustizia”.

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“I giudici di merito hanno fatto buon governo dei principi di diritto rilevando che la prova della responsabilità di Madonia per il concorso nella strage di via D’Amelio ‘non è stata desunta dalla semplice sua qualità soggettiva componente della commissione provinciale in quanto sostituto del padre Francesco’ – scrivono i giudici supremi – ma dalla prova della sua reale partecipazione ‘al momento deliberativo della strage collegato alla riunione allargata della stessa commissione di fine anno 1991’. E’ dunque l’adesione di Madonia, attraverso il ‘consenso del silenzio’, alla ‘resa dei conti’ attraverso il progetto stragista indirizzato, in primo luogo, ai nemici storici di Cosa Nostra – e tra questi a Paolo Borsellino – a fondare il giudizio di sussistenza nei cuoi confronti della fattispecie concorsuale, ossia quella partecipazione morale all’attentato stragista”.

“Il tema delle anomalie del modus procedendi degli ‘inquirenti suggeritori’ evoca quelle che la sentenza impugnata definisce le ‘origini delle calunnie’, ossia gli abnormi inquinamenti delle prove che hanno condotto a plurime condanne di innocenti – sottolineano gli ‘ermellini’ – Centrale in questa vicenda è la figura di Vincenzo Scarantino – scrivono i supremi giudici – nei cui confronti gli elementi di prova raccolti hanno condotto i giudici di merito ad accertare ‘l’insorgenza di un proposito criminoso determinato essenzialmente dall’attività degli investigatori, i quali esercitarono in modo distorto i loro poteri con il compimento di una serie di forzature, tradottesi anche in indebite suggestioni’”.

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